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Il trionfo annunciato di Luca Zaia alle elezioni regionali in Veneto, tra comunicazione di crisi e vantaggio competitivo

Democrazia a Nordest

Non tutte le campagne elettorali sono aperte, tese, combattute fino all’ultimo voto. Molte hanno un grande favorito, o in alcuni casi un vero e proprio “vincitore annunciato” (Diamanti G., 2020).
Le elezioni regionali venete del 2020 mostrano, ai blocchi di partenza, uno scenario che suggerisce una riconferma piuttosto facile per Luca Zaia, Presidente uscente leghista. Parliamo di una regione – l’unica, assieme alla Lombardia – in cui il centrodestra, da molti anni coalizione di maggioranza relativa nel Paese (Cavallaro, Diamanti, Pregliasco, 2018; Bordignon, Ceccarini, Diamanti, 2018; Itanes, 2018) ha vinto ogni contesa elettorale da quando vige l’elezione diretta dei Presidenti. Una regione perfettamente inserita in quella subcultura cattolica, o meglio “bianca” (Almagisti, 2016), caratterizzata dal dominio democristiano (Rizzi, 1986), divenuta poi a seconda dei periodi “verde” (Jori, 2009) o “azzurra” all’inizio della Seconda Repubblica (Diamanti I., 2009) e infine “blu” (Diamanti, Pregliasco, 2019). Una regione di piccoli comuni, dove il centrodestra ha sempre fatto il pieno, e dove il centrosinistra è raramente stato competitivo, fatta eccezione per le sfide comunali nelle principali città. Basterebbero queste ragioni per pensare a una sfida non competitiva già in partenza. A queste, tuttavia, si aggiungono due elementi. Il primo è il cosiddetto “effetto-incumbent” (Ghisleri, 2020), ovvero la spinta dell’opinione pubblica che spesso favorisce i presidenti uscenti; il secondo è il gradimento del Presidente Zaia. A poco più di un anno dall’inizio della campagna elettorale regionale, infatti, la fiducia dei veneti nei suoi confronti toccava il 76%1, un dato ancor superiore rispetto al gradimento della sua giunta di cinque anni prima, alla vigilia della sua prima riconferma.

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