Articolo di Marco Almagisti pubblicato in forma riassunta su Domani del 23 luglio 2021.
BULLET POINT:
- Per valutare l’eredità di fenomeni quali il Movimento di critica al G8 di Genova bisogna considerare la capacità di imporre i propri temi nel dibattito pubblico. Se oggi riparliamo di sostenibilità ambientale e sociale e di lotta alle disuguaglianze è merito anche di quell’impegno.
- L’azione di movimenti e gruppi esterni al canale elettorale-rappresentativo chiama in causa il nostro modo di considerare la democrazia e il ruolo dei cittadini. Con le elezioni vengono eletti i rappresentanti, ma i cittadini non smettono di essere tali. Organizzarsi e mobilitarsi per perseguire interessi comuni è parte integrante dell’identità del cittadino democratico.
- Anche i nostri consumi hanno rilevanza politica: ogni acquisto di un prodotto comporta scelte che riguardano temi etici e sociali. Una maggiore consapevolezza e organizzazione da parte dei cittadini interessati può imporre anche nel mercato i temi della sostenibilità ambientale e sociale.
Il ventennale del G8 di Genova ha rappresentato l’occasione per numerose analisi in merito alle mobilitazioni del “Movimento dei Movimenti” e delle sue eredità. Il dibattito che ne è scaturito, e che in parte è stato sintetizzato da questo giornale, pone in evidenza quanto sia improprio affermare che “tutto è finito a Genova”. Non solo perché quel ciclo di mobilitazione collettiva ha contribuito poi ad alimentare le manifestazioni degli anni successivi (il Social Forum di Firenze, le proteste contro il tentativo di abolizione dell’art. 18 da parte del governo Berlusconi, le mobilitazioni pacifiste contro la guerra in Medio Oriente), ma anche perché una parte di quel movimento, di fronte a forme di repressione spaventose quali quelle viste a Genova, ha dato seguito al proprio impegno spostandosi su un altro livello. Ossia alimentando proposte e pratiche di cambiamento dell’economia, spesso a muovere dalla dimensione locale.
Quanti sostengono che il “Movimento dei movimenti” non ha lasciato traccia nelle urne elettorali dovrebbero, in primo luogo, analizzare meglio i risultati delle elezioni negli anni 2002 – 2006 e, soprattutto, considerare che movimenti cosiffatti non hanno quale obiettivo primario il mutamento dei rapporti di forza elettorali fra i partiti, bensì, soprattutto, imporre i propri temi nel dibattito pubblico, nella mentalità collettiva. Se oggi il perseguimento della sostenibilità ambientale e della riduzione delle disuguaglianze sono questioni che si riaffacciano nell’agenda politica è anche merito dell’impegno scaturito da quel movimento.
L’azione di movimenti e gruppi esterni al canale elettorale-rappresentativo chiama in causa il nostro modo di concepire la democrazia e di prestare attenzione a tutte le sue diverse dimensioni.
È vero che «il passo decisivo verso la democrazia è la devoluzione del potere da un gruppo di persone a un insieme di regole», come sosteneva Adam Przeworski all’inizio degli anni Novanta (“Democracy and the Market”, Cambridge University Press, 1991). In effetti, le democrazie liberali si fondano su un insieme di regole orientate a limitare l’esercizio dei poteri e a garantire il funzionamento delle procedure elettorali, attraverso le quali i cittadini scelgono da chi farsi rappresentare. Infatti, tutte le democrazie contemporanee sono democrazie rappresentative (è stato affermato, giustamente, che l’adozione della rappresentanza sia una condizione necessaria per il funzionamento della democrazia moderna). Tuttavia, è altrettanto vero che, se al momento delle elezioni i cittadini eleggono i propri rappresentanti, non per questo cessano di essere cittadini. In altri termini, la politicità dei cittadini non si esaurisce nel momento della scelta dei rappresentanti e se analizziamo l’evoluzione delle società democratiche focalizzandoci esclusivamente sulla rappresentanza rischiamo di perdere di vista alcuni fenomeni di notevole importanza.
Ad esempio, di fronte al calo consistente e diffuso della partecipazione elettorale, molti osservatori registrano una diminuzione della partecipazione tout court, una tendenza dei cittadini a rifluire verso la cura del privato, che accompagna il declino della partecipazione nei partiti. Tuttavia, la tendenza al declino sembra colpire soprattutto i corpi intermedi tradizionali e non i tipi relativamente recenti di attivismo civico o cittadinanza attiva, ossia quella «pluralità di forme con cui i cittadini si uniscono, mobilitano risorse e agiscono nelle politiche pubbliche esercitando poteri e responsabilità al fine di tutelare diritti, curare beni comuni e sostenere soggetti in difficoltà» (Giovanni Moro, “Cittadinanza attiva e qualità della democrazia”, Carocci, 2013). In tutta Europa la tendenza al declino della membership di partito convive e si interseca con la partecipazione nelle organizzazioni di cittadinanza attiva, come, ad esempio, le associazioni ambientaliste, di tutela dei malati o degli anziani, le quali intendono contribuire al governo democratico della società e produrre risultati nelle policies, svolgendo in tal modo una funzione di “politicizzazione delle politiche pubbliche” e del mercato, anche se il loro ruolo è spesso sottostimato dai commentatori politici. Tesi come quella relativa alla radicale disintermediazione della società e alla scomparsa degli attori collettivi meritano di essere approfondite e problematizzate. Diamo per assodato che l’intero scenario non solo politico, ma delle nostre vite, sia stato trasformato dalla diffusione dei social media e che Internet consenta di “saltare” molti passaggi, favorendo nuovi flussi di comunicazione, ridefinendo con la sua sola esistenza la struttura di ogni organizzazione. Tuttavia, che tali processi abbiano quale esito ineludibile lo svuotamento della sfera pubblica e la sterilizzazione della cittadinanza democratica pare una lettura fuorviante. Accanto a forme di riflusso nel privato si diffondono nuovi modi di far politica legati a nuove forme di consapevolezza. Ad esempio, come ha ricordato in questa sede Stefano Feltri (22 luglio), il mercato diviene uno degli ambiti in cui articolare iniziative incisive di cambiamento. Il consumo è diventato un elemento centrale nella costruzione delle nostre identità e lo sviluppo delle moderne strategie di marketing consente alle imprese di costruire prodotti sempre più orientati ad accogliere i desideri dei consumatori. Tuttavia, in molti consumatori si è andata affermando negli ultimi anni la consapevolezza che “si fa politica ogni volta che si fa la spesa”. Ossia, che ogni acquisto di un prodotto comporta scelte che riguardano temi etici e sociali. Come evidenziano Francesca Forno e Paolo Graziano (“Il consumo critico”, il Mulino, 2016), per una porzione consistente di consumatori non contano solo il prezzo e la qualità dei prodotti, ma anche il comportamento dei produttori e la sostenibilità ambientale e sociale della filiera produttiva. Fra le diverse strade per ottenere più attenzione verso la sostenibilità ambientale e sociale vi è anche quella che passa dalla consapevolezza dei cittadini e dal loro potenziale di organizzazione e circolazione delle informazioni.
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